Navigando in rete ho trovato per caso questa poesia di Melchiorre Murenu, poeta sardo vissuto ai primi dell'ottocento:
Sos saludos
Deo soe Maloccu:
pedra 'ia e de toccu.
E deo so Caria
de toccu pedra ‘ia.
Eo so Melchioro:
pedra 'ia e de coro.
Ne intuisco solo vagamente il significato: non ho trovato un modo per tradurla ma mi sembra velatamente ironica... c'è qualche sardo che può soccorrermi?
Alla fine però conta la sensazione, il (r)umore che fa, il suono, l'aria.
Che poi è la prima cosa che mi ha colpito della Sardegna: esattamente l'aria. Se arrivi in aereo te ne accorgi subito: sorvoli una terra che pare compiacersi di starsene un po' in disparte, sorniona là dietro alle nuvole, in mezzo al mare.
L'aria, la musica e il canto: i Tenoresi di Padru si sono esibiti durante il nostro pranzo, il secondo giorno, presso l'agriturismo dei
Fratelli Muzzu. La lingua sarda ha una storia nobile e antica, i giovani ne vanno orgogliosi, e il canto "a tenore" è patrimonio immateriale dell'umanità. Ascoltate.
Della
Sardegna sconosciuta scoperta con
aifb ho adorato i profumi pungenti dei ricci di mare, cremosi e iodati: si mangiano così,
nature, spalmati sul pane. Facevano parte della degustazione di prodotti tipici presso le
Tenute Delogu, ospiti preziosi nel nostro primo giorno di tour.
I sardi amano i ricci ma guai a rovinarne l'essenza in improbabili piatti di pasta tempestati di prezzemolo.
E' sempre d'aria che si vive nella penisola del Sinis: il promontorio che si allunga sul mare si fa scalare non senza ostilità. Il vento soffia da ogni direzione, lo sguardo corre e cattura le rovine di Tharros, le insenature fra le dune, lo skyline sinuoso dei monti a sud, gli specchi d'acqua dolce e salata.
Per due volte in questo post, casualmente, appare la mia amica
Marina: la sua curiosità verso profumi e sapori, e i suoi capelli sconvolti dal vento. Prima di andare in Sardegna fatevi allungare i capelli: l'aria ci si insinuerà in mezzo e tutto sarà ancora più divertente.

Il primo giorno, a cena presso l'agriturismo
Pedru Caddu abbiamo assaggiato delle frittelle di ricotta leggere come nuvole. Certo: mettere "frittelle" e "leggere" nella stessa frase sembrerebbe un azzardo, eppure è così che le ho percepite. Sono molto semplici, come quasi tutti i dolci sardi, ma la ricotta e il miele che si trovano là bastano da sé a ottenere un capolavoro. Sono certa che Laura ed Elena, le padrone di casa, le abbiano chiamate
colunzones, fatto sta che poi, nel cercare di recuperarne la ricetta, le ho trovate con ogni possibile nome del creato. Nel libro di
Maria Antonietta Mazzone, ad esempio, sono fatte con formaggio "peretta" e si chiamano
Turonzos. Nello stesso libro, il sindaco di Bortigiadas le chiama
Bombe di formaggio: sospetto quindi che, come molti altri piatti sardi, abbiano un nome che varia a seconda della zona. Quindi, amici sardi che leggete, oltre a tradurmi la poesia ditemi anche come si chiamano queste meraviglie fritte.

Ieri sera le ho rifatte a casa, felice come una bambina perché sono pressoché riuscita a riprodurre quella sensazione di leggerezza e freschezza citrina delle pallotte divorate in Sardegna. Le ho fatte così, ispirandomi liberamente alle due ricette trovate nel libro e sfruttando i migliori ingredienti che son riuscita a trovare "in continente".
FRITTELLE DI RICOTTA DI PECORA (Aggiornamento - Maria Antonietta Mazzone mi ha riferito i seguenti nomi per questa ricetta: turonzos, coulungiones, abbrugnolos, rujolos, brugnoli, arrubious, bubusones de regottu ecc...)
ingredienti per circa 30 pezzi
300 gr di ricotta di pecora di ottima qualità e ben asciutta
100 gr di farina (io 80gr di farina bio tipo 1 macinata a pietra + 20 gr di fecola)
100 gr di zucchero
1 limone non trattato (la buccia grattugiata)
1 uovo codice 0
meno di 1/2 bustina di lievito per dolci (io cremor tartaro addizionato di bicarbonato, e assolutamente NO vanillina!)
semola di grano duro (bio macinata a pietra) qb
miele a piacere
olio di semi di girasole biologico e (soprattutto) spremuto a freddo*
Mescolare bene tutti gli ingredienti (tranne miele e semola) con una frusta a mano. Inumidire le mani e formare delle palline appena più piccole di una noce, rotolarle nella semola. L'impasto è morbidissimo: è normale che sia così ma dovreste riuscire lo stesso a ottenere delle palline abbastanza regolari. Friggere in abbondante olio (che non deve superare i 170 gradi di temperatura), asciugare su carta assorbente e cospargere di miele fluidificato a bagnomaria. In cottura si gonfieranno molto grazie al lievito, e svilupperanno un'alveolatura che le rende sofficissime.
*Piccola digressione sull'olio per friggere. Consiglio vivamente di acquistare esclusivamente olio di semi spremuto a freddo, poiché questo è l'unico modo per ottenere un prodotto di miglior qualità. L'olio di semi "comune" è estratto tramite solventi chimici, deodorato e raffinato a volontà, e questo non permette di avere certezze sulla reale qualità della materia prima, né su quella del prodotto finito. Quindi, poiché quest'anno l'extravergine d'oliva è merce rara, cercate di friggere almeno con olio di semi spremuto a freddo.